Negli ultimi giorni le pagine giornalistiche sono piuttosto concentrate sui furti in appartamento, forse per un picco di casi in Italia ma soprattutto, io credo, per cavalcare l’onda di alcuni casi eclatanti avvenuti negli ultimi tempi (come le spiacevoli vicende occorse ad alcuni personaggio famosi, come per esempio il recente caso della rapina in villa del musicista Roby Facchinetti).
Il furto domestico è un po’ uno spauracchio nell’immaginario collettivo, qualcosa che genera tendenzialmente molta ansia e paura nella mente delle persone.
L’idea infatti che qualcuno possa entrare in casa nostra, toccare le nostre cose e mettere tutto a soqquadro è piuttosto inquietante, anche perché subentra la cosiddetta dinamica dell’invasione del proprio spazio personale, della propria intimità, di quello che in qualche modo riteniamo intoccabile da parte del mondo esterno.
Questa intoccabilità ha anche un risvolto economico, poiché riteniamo, a torto, che ciò che si trova all’interno della nostra casa non possa essere prelevato forzatamente, non possiamo perderlo. Per questa ragione spesso tendiamo a custodire tra le mura domestiche i nostri oggetti più preziosi, quelli che valgono di più dal punto di vista economico ma anche semplicemente affettivo.
Purtroppo i fatti dimostrano che la realtà è ben diversa, che nel grande schema delle cose non esiste un posto “sicuro” oltre ogni ragionevole dubbio per i nostri beni, e che se anche esistesse difficilmente sarebbe la nostra casa, un luogo di fatto inaccessibile ai nostri occhi ma non certo per quelli di ladri esperti.
Tutto questo credo abbia molto da insegnarci, o almeno mi è capitato di fare diverse riflessioni partendo proprio da questo tema. Il mio pensiero è che la sicurezza, così come la conosciamo, non esiste nella realtà, e non esiste perché siamo spesso ancorati a un’idea di sicurezza diversa da quella che concretamente possiamo conquistare.
Restando nell’ambito domestico, per esempio, dovremmo renderci conto che gli oggetti sono, appunto, degli oggetti. Possono essere a nostra disposizione oggi ma domani potrebbero avere un “destino diverso”, legato a logiche che sfuggono al nostro controllo. Quello che conta, degli oggetti, è il ricordo che vi abbiamo legato. Quello si, che non può essere distratto, rovinato o rubato.
Se quegli oggetti hanno un valore, poi, sarebbe opportuno fare riflessioni diverse anche dal punto di vista logistico. Magari l’appartamento non è davvero il luogo più sicuro in cui custodirli e sì, anche se li teniamo in cassaforte (sovrastruttura che anzi potrebbe metterci ancor più a rischio, perché un rapinatore esperto, conoscendo la situazione, prediligerebbe un momento in cui siete presenti per confessare la combinazione, piuttosto che uno in cui siete assenti per agire in autonomia).
Tutto questo discorso in realtà può essere trasferito a buon diritto anche al piano imprenditoriale, sul quale ritengo aderisca perfettamente.
In quel caso non parliamo però di oggetti preziosi, bensì di ricchezza aziendale tradotta in quote di mercato.
Come imprenditori abbiamo la tendenza a credere che le posizioni faticosamente conquistate nel nostro settore, una volta acquisite, siano inattaccabili. Purtroppo però il mercato, come sempre, fornisce le sue risposte sul campo e se non siamo stati bravi a mantenere i nostri standard i fatturati, e quindi le posizioni, anno dopo anno possono diminuire.
Questo post tuttavia non vuole essere un monito all’attenzione, o un contenitore di consigli per massimizzare e proteggere i propri profitti.
Viceversa, desidero condividere un pensiero opposto: gli investimenti si possono perdere, e bisogna farsene una ragione.
Esistono specifici momenti della vita di un’azienda in cui le quote di mercato diminuiscono, e questo può avvenire nonostante si siano adottate le migliori condotte professionali possibili.
Possiamo lavorare in maniera perfetta, creando processi inattaccabili e proponendo sul mercato una versione sempre migliore dei nostri servizi e anche in questo caso ci possono essere degli eventi che generano un decremento dei fatturati o addirittura un’involuzione.
Ciò può avvenire per moltissimi motivi, impossibili da ingabbiare in un blogpost: fisiologia del mercato, ingresso di competitor efficaci, inversione delle tendenze, squilibri geopolitici etc.
È la natura del commercio: non esiste una vera e propria tendenza all’incremento, o almeno non di natura costante. Così come non esiste una dinamica imprenditoriale che possa ritenersi neanche lontanamente realistica. Il mercato non è stabile, e dunque non può esserlo un’azienza.
In questi casi quello che trovo importante è che l’imprenditore “faccia pace” con questo concetto, lo assorba e lo faccia suo, avendo la capacità di gestire i momenti critici così come riesce a farlo nei momenti migliori, e lo accetti per quello che è: un evento momentaneo nella vita dell’azienda.
Questo consentirà all’imprenditore di superare più agevolmente lo scoglio e soprattutto aiuterà i dipendenti dell’azienda a farlo, coloro cioè che più spesso subiscono gli effetti negativi di una flessione, spesso anche emotiva, della parte più alta della catena di comando.