Chi mi conosce, o ha imparato a conoscermi attraverso le pagine di questo blog, ormai lo sa bene: se un argomento mi colpisce non posso non parlarne. E questo va a “discapito” di tutto, delle conversazioni più informali ai pensieri della giornata. Fino alla pianificazione di quello che è, o almeno dovrebbe, essere uno spazio per riflessioni da condividere tra addetti ai lavori, imprenditori o comunque appassionati al mondo del business.
Sempre chi mi segue avrà intuito che, proprio per ovviare a questo, in determinati casi cerco di trovare sempre un nesso, uno spunto, da un evento lontano dal business che tuttavia consente di approfondire tematiche similari presenti nelle aziende. È un po’ il mio compromesso personale per parlare di temi che mi stanno a cuore, anche quando essi sembrano, e sono, davvero lontani dalle logiche imprenditoriali.
Venendo al punto: ai più non sarà sfuggito uno dei temi della settimana, almeno sul fronte della cultura popolare. MI riferisco ovviamente alla scomparsa del giornalista e conduttore Maurizio Costanzo, di cui ho accennato in un post social precedente.
Ecco, tolto tutto ciò che già è stato detto in tributo a un grande personaggio del nostro tempo, il quid del fine settimana è stato un frangente a dir poco disturbante: alcune persone, durante l’apertura della camera ardente in Campidoglio, hanno “ben” pensato di approfittare della disponibilità di sua moglie, la signora Maria De Filippi, per strapparle un selfie ricordo.
Ripeto, per chiarezza: un selfie ricordo. A una vedova. Nella camera ardente.
So per certo che alla totalità di chi legge questa notizia sarà parsa inquietante e ben lontana da ogni logica umana. Me lo auguro almeno.
Non voglio però “infierire” sull’evento e su quanto sia stato assurdo e inopportuno. A quello ci ha già pensato, giustamente, il web e un buon numero di firme giornalistiche.
Quello su cui volevo porre l’attenzione, e qui viene quel famoso “nesso” con i nostri temi, che non posso non trovare, è una domanda: qual è il limite?
Intendo il limite in senso assolutamente libero e generale.
Limite nelle nostre azioni, nei nostri pensieri, negli atteggiamenti.
Ecco, sono persuaso che gli eventi e le dinamiche della vita condizionino le nostre scelte, e su di esse pende costante la “spada” del limite che tendiamo a non superare, per rigore morale, per principio o per valori personali.
È un po’ quello che ci evita di fare azioni sbagliate, di commettere illeciti, di esagerare o offendere noi stessi o gli altri.
Il concetto di “limite” è quindi una specie di salvavita, che ci mantiene sul binario evitandoci alcune sofferenze o disagi.
Nell’evento specifico della camera ardente, dunque, vien da chiedersi quale sia il limite oltre il quale una persona che sta vivendo un grande dolore, in un momento difficilissimo, in un luogo in quel momento intimo e sacro allo stesso tempo, non vada disturbata o importunata con richieste improprie.
“Beh, il limite è stato ampiamente superato, non avrebbero mai dovuto chiedere una foto in un contesto del genere.” È certamente questo il sentire comune.
Ma la mia domanda vuole essere diversa: qual è il limite, si, ma non di tutti noi bensì delle persone che di fatto, quel selfie, l’hanno chiesto.
Appare evidente che per loro quel confine non era stato superato, non era visibile, in poche parole non c’era. Ritengo fossero dunque perfettamente inconsapevoli dell’”abuso” che stavano commettendo. Magari se ne saranno resi conto dopo, non lo so, ma certamente in quel momento devono aver pensato che fosse assolutamente normale fare quel tipo di richiesta alla vedova di Maurizio Costanzo.
E su quell’inconsapevolezza, mi sono fermato.
C’è forse qualche limite che come individui, come uomini e come donne, e nello specifico come imprenditori non riusciamo a NON superare?
Esiste un confine che dovrebbe demarcare le nostre azioni lavorative e che magari non lo fa, perché non lo vediamo o perché riteniamo di essere nel giusto?
Penso per esempio ai miei colleghi “stakanovisti”, che lavorano troppo, che non conoscono una misura e per far questo perdono svaghi, pensieri, occasioni, affetti.
Penso a quegli imprenditori che in nome del profitto adottano condotte di gestione ansiogene, quasi agonistiche, in qualche modo autoritarie. E magari non se ne rendono conto.
Tutto questo credo sia un pericolo reale e trovo sia fondamentale, ogni tanto, fermarsi a rifletterci per capire se in effetti c’è qualcosa, nella nostra vita personale e soprattutto lavorativa, nella quale stiamo più o meno inconsciamente superando un limite che il nostro buon senso più profondo saprebbe non superare.
Quel buon senso, come imprenditori, dovremmo ascoltarlo sempre. Perché ne siamo in possesso, perché abbiamo un’ispirazione di fondo che non dobbiamo dimenticare. Perché siamo nati imperfetti ma buoni e quella bontà d’animo e d’azione va coltivata. Con tutto l’intelletto e il cuore di cui siamo capaci.