Vivere “in mezzo” ai social può essere stressante. Ormai siamo tutti coinvolti nella logica di utilizzo del web che passa per i principali canali di comunicazione sociale (io stesso ne faccio uso massiccio, cercando di portare i miei contenuti sulle piattaforme più note), e non c’è verso che questo non ci coinvolga anche personalmente.
Che se ne faccia un uso privato o professionale, quindi, vivere la realtà social diventa col tempo un’esperienza che in qualche modo ha dell’alienante, almeno secondo la mia opinione, poiché ci si imbatte in una pluralità di dinamiche non sempre comprensibili e, ancor di più, non sempre gradite.
Penso per esempio a tutto ciò che attiene alla sfera dei cosiddetti “hater”, gli odiatosi seriali, portati a criticare (e giudicare) tutto ciò che passa davanti ai loro occhi, con commenti spesso graffianti ma ancor più spesso esagerati, volgari, offensivi.
Penso anche alla spasmodica ricerca di approvazione veicolata dai contenuti fotografici e di testo nei quali incorriamo a cadenza quotidiana, e che in qualche modo insinuano nella nostra mente questa logica del consenso che non sempre è attinente alla realtà.
Sia chiaro, non è mia intenzione demonizzare i social. Anzi. Come già detto, trovo siano un territorio di inestimabile valore, un territorio che consente di veicolare messaggi importanti, insieme ad altri più leggeri, che altrimenti non potremmo far arrivare ai nostri destinatari in nessun altro modo. O almeno, non con la stessa efficacia.
Quello che sto cercando di dire è che esiste sempre un’altra faccia della medaglia, che in questo caso è il “rischio di avvelenamento”, ossia il pericolo che la parte più tossica delle dinamiche sociali che si sviluppano sui social possano in qualche modo contaminare anche i nostri pensieri, renderli meno positivi, meno ottimistici, più giudicanti di quanto vorremmo o di quanto siamo mai stati, più netti, meno soggetti alla riflessione.
Ecco, questo è un rischio che corriamo tutti a prescindere da quanto e quali piattaforme social utilizziamo e credo dovremmo sempre mantenere una lucidità sufficiente per renderci conto di quando stiamo superando quella soglia di allerta o meno.
Nel lavoro di un imprenditore o di un’imprenditrice in realtà questo pericolo esiste da sempre, soltanto che fino a ieri, e parzialmente ancora oggi, non si articola sui social bensì nella vita reale.
Dirigere un’azienda vuol dire infatti entrare quotidianamente in contatto con realtà diverse, fatte di persone che hanno i loro problemi o le loro lamentele da portare alla nostra attenzione, fatte di ostacoli nelll’approvvigionamento delle materie prime con le quali lavoriamo o viceversa nella distribuzione dei prodotti che proponiamo sul mercato.
E poi ci sono le problematiche di natura economica, burocratica, amministrativa etc etc
Tutte cose che chiunque legga troverà assolutamente banali ma anche fortemente reali.
Ecco, per quanto ci possiamo sforzare credo sia bene tenere presente che tante difficoltà non possono essere eliminate. Le soluzioni vanno inseguite sempre ma dobbiamo essere consapevoli che dopo un problema risolto ne spunterà un altro, e così via, probabilmente con moto perpetuo.
È la vita, e funziona così sia in ambito personale che professionale.
Quello che fa la differenza è quindi l’approccio che abbiamo di fronte a questi eventi. Non sto parlando semplicemente di positività o di avere il giusto atteggiamento di fronte alle criticità della vita. Quello conta, ma non è abbastanza.
Certi “veleni” si insinuano in noi anche senza che ce ne accorgiamo. Siamo umani e viviamo vite normali, non abbiamo lo spessore ascetico che ci permetterebbe di lasciarci scivolare addosso qualsiasi asperità della vita.
Noi, quelle asperità, le assorbiamo. E anche se abbiamo imparato a non arrabbiarci e a non diventare aggressivi o istintivi di fronte a questi eventi, di certo non abbiamo imparato ad annullare le nostre reazioni.
Nella migliore delle ipotesi, se non poniamo la giusta attenzione a certe dinamiche, le difficoltà della vita professionale ci abbatteranno, ci renderanno più timorosi, meno intraprendenti. Le crisi creeranno in noi dei precedenti e a lungo andare i malumori dei nostri collaboratori incideranno sulla brillantezza del nostro umore.
Ecco, quello che dobbiamo fare, con tutte le nostre forze, è evitare il punto di non ritorno.
Perché non esiste essere umano che non riemerga “cambiato” dopo un viaggio all’interno dei problemi, e questo fa parte della vita, ma dobbiamo impedire che essi intacchino la nostra attitudine alla positività che è e deve essere la caratteristica principale di un buon imprenditore.
Un buon imprenditore vuole cambiare il suo pezzetto di mondo in meglio, e non puoi cambiare il mondo se tu per primo hai smesso di credere in esso.
Quindi, accetta il consiglio: per quanto riguarda i social, ogni tanto stacca la spina.
E quando le giornate a lavoro si fanno pesanti, agisci nello stesso modo. Almeno qualche volta.