Per il lavoro che faccio mi confronto spesso con imprenditori e professionisti che mettono tutte le loro energie all’interno di progetti, aziende, prodotti, nonostante i loro “limiti”.
È la loro vita, più che la loro occupazione, e questo lo capisco. Chi fa l’imprenditore non sta davvero “lavorando”, non nel senso comune del termine. Non è un cartellino da timbrare, ma piuttosto una missione, qualcosa che coinvolge i tuoi pensieri e le tue azioni per ben più di otto ore al giorno e cinque giorni alla settimana.
Questo approccio totalizzante però può essere negativo, se non si ha la giusta attitudine.
Una cosa che ho riscontrato infatti è la scarsa capacità di molti professioni nel dosare le proprie energie. Lavorare come titolare d’azienda genera nell’individuo una sorta di pensiero “tossico”, quello secondo il quale lavorando di più si può avere di più. Questo è vero solo in parte, come abbiamo avuto modo di capire in un precedente post di questo blog. Ma il problema non è soltanto legato all’insostenibilità di un approccio ove tutto il proprio tempo viene assorbito dal lavoro, c’è piuttosto proprio un ostacolo logistico: noi abbiamo dei limiti. L’essere umano ha dei limiti. Gli uomini e le donne che lavorano hanno dei limiti. E se svolgono un lavoro autonomo, di quelli dove non esistono vincoli e orari, questi limiti diventeranno un problema molto presto.
A meno di non capire che utilizzo farne.
Come “usare” i limiti
I limiti umani possono infatti diventare un grande alleato, nella vita come nel lavoro. L’errore che spesso compiamo è “fingere” di non averne, portando il nostro corpo e la nostra mente allo stremo. Nel vano tentativo di raggiungere obiettivi personali che non si possono, o non si vogliono, raggiungere grazie a un supporto esterno.
Questo approccio dà la sensazione di essere liberi e padroni del proprio destino. Fa sembrare di avere le redini della propria carriera e proprio su quella si concentrano tutte le attenzioni e i sacrifici.
Ma è un errore, perché la carriera personale è un aspetto sì importante della vita lavorativa ma pur sempre solo un tassello di un quadro più grande.
Gli obiettivi più ambiziosi, quelli che ci tengono svegli la notte, non possono essere raggiunti da soli. Esistono traguardi che richiedono il supporto di figure diverse, persone diverse, ruoli diversi. Questo accelera il processo di arrivo al traguardo e lo ottimizza, aumentando le possibilità di successo.
È come se ci ostinassimo a tirare una fune da soli contro un gruppo di atleti, per il solo gusto di avere una gloria personale nel momento dell’eventuale vittoria. Ma è una chimera, perché un sol uomo che tira la fune non potrà mai battere un gruppo di persone che, dal lato opposto, fa altrettanto.
Può davvero la gloria personale essere così importante?
A volte si, tenderei a rispondere. Almeno per quello che mi capita di vedere in giro. Viviamo in un’epoca che, senza voler essere -troppo- retorici, ci ricorda ad ogni passo quanto sia importante mostrare i propri successi, i traguardi raggiunti, e lo si fa tendenzialmente ostentando acquisti costosi o raccontando gli ultimi risultati di fatturato conseguiti. Questi modelli comportamentali creano schemi che altri desiderano imitare, contribuendo ad alimentare il falso mito del successo individuale.
Anche in questo caso si bypassa completamente il lavoro di squadra, imprescindibile, che si cela dietro qualsiasi target raggiunto. Molti professionisti tendono a intraprendere quella che credono essere la strada maestra della carriera personale foraggiata al massimo dei giri.
Col tempo però si scopre che una carriera è un conto, un successo aziendale è tutto un altro conto. Conosco personalmente situazioni dove i migliori traguardi le imprese li hanno raggiunti grazie al lavoro anonimo di dipendenti che non hanno la benché minima intenzione di fare carriera.
Ma semplicemente svolgono il loro lavoro al meglio delle proprie possibilità.
Questo a dimostrazione di quanto il fantasista, o l’attaccante di peso, sia fondamentale in una squadra di calcio tanto quanto gli altri dieci elementi titolari.
Chiarire a me stesso questo punto è stato tutt’altro che banale. La mia giovane età e gli stimoli esterni mi hanno spesso portato a credere che per ritagliarmi un posto in questo mondo avrei dovuto fare qualcosa di grande da solo. Per mia fortuna ho però scoperto molto presto che condividere il lavoro, gli obiettivi e i compiti non divide la “gloria” del successo per le persone che vi hanno lavorato.
Ma la moltiplica riconoscendo comunque il giusto merito a chiunque sia dentro al progetto.
L’obiettivo del percorso
Nel mio percorso professionale cerco ogni giorno di portare gli imprenditori con cui lavoro a compiere questo piccolo passo “laterale”. A tutela dei loro interessi e dei sogni più ambiziosi che coltivano. Chi mi ascolta spesso poi mi ringrazia e questo mi lusinga ma non mi appaga. La soddisfazione sarà vedere sempre più aziende alle prese con un cambio di paradigma radicale in questo senso, a beneficio della nuova generazione di imprenditori e della salute di tutto il comparto.