Una delle cose più importanti che ho imparato nella mia vita è che l’ambizione non è tutto.
Sono sempre stato una persona ambiziosa, seppur nel senso più “sano” del termine. Per sano intendo che non sono mai stato particolarmente competitivo con gli altri, al contrario nutro un grande impulso agonistico con me stesso. Cerco di superare i miei limiti e raggiungere degli obiettivi lavorando sodo e senza badare troppo ai “non si può fare” che, ahimè, capita sempre che qualcuno dica a chi sta cercando di costruire qualcosa di nuovo.
Ma al di là di questo, dicevo, non sono ambizioso in senso economico, non sono venale, non vivo male l’eccellenza altrui (anzi!).
Però sogno moltissimo e desidero con tutto me stesso che quello che immagino diventi realtà, mettendo in campo ogni sforzo possibile per riuscirci.
Sotto questo punto di vista e alla luce di tutti gli elementi, si, posso dire di essere una persona certamente ambiziosa.
Per molto tempo ho creduto che questa fosse la caratteristica principale del successo, che senza una strenua volontà di riuscire a raggiungere le vette più alte fosse impossibile avere una vita professionalmente appagante, ma ho capito che mi sbagliavo.
E l’ho capito quando mi sono reso conto, appunto, che l’ambizione è solo una componente di un buon professionista e che, soprattutto, non è un elemento imprescindibile della vita lavorativa di una persona.
Ho preso atto che esistono persone che non sono ambiziose e, cosa ancora più importante, che questo non è un difetto, che questa carenza non rende loro meno appetibili nel mercato del lavoro, meno bravi, meno capaci.
L’ambizione, infatti, è qualcosa di molto personale. Tendiamo troppo spesso a identificarla come una forma di naturale propensione al successo, una predisposizione innata o maturata, un “retaggio”, quasi. Ma dimentichiamo che vivere una vita, professionalmente parlando, votata al raggiungimento di obiettivi sempre più grandi è qualcosa di assolutamente discrezionale.
Esistono persone che “ambiscono” a rimanere esattamente dove sono, per esempio. Ricoprendo il loro ruolo, facendo per bene il proprio lavoro e basta. Persone che, anzi, all’idea di sfidare costantemente se stessi per crescere professionalmente, si sentono a disagio.
Ci sono donne e uomini per i quali l’ambizione, perché in fondo lo è anch’essa, a ben pensarci, è non essere mai “ripresi” per qualcosa che è stato fatto male. Avere un reddito certo sul quale contare per costruire la propria famiglia. Avere tempo sufficiente e in misura regolare da dedicare ai propri affetti.
C’è chi, nell’entrare in ufficio alle 9 e uscire alle 18, ci si trova benissimo e non ha nessuna intenzione di cambiare idea.
Ecco, sembrano cose banali e quasi scontate, ma chi legge può credermi sulla parola se dico che per molto tempo ho ritenuto “strano” che ci fossero persone che non ambivano, nel lavoro, a coprire ruoli di maggior rilievo e responsabilità.
Come se fosse una forma di accontentarsi.
Poi ho capito che non si accontentano. Scelgono. Che è la forma più matura di vivere la propria professione.
Riflessione a lato: nelle aziende queste persone sono fondamentali. Altrimenti l’impresa non si tiene su. Non è possibile coltivare un team dove tutti vogliono scalare la vetta. Non funziona. Coloro che desiderano consolidare il proprio ruolo e nient’altro sono indispensabili per la stabilità dell’azienda e si bilanciano con i “corridori” in una sinergia perfetta.
Anche il mondo, a ben pensarci, funziona così. O meglio, “funzionerebbe”, così: esistono persone che fanno lavori a basso impatto di ambizione e altre che fanno l’opposto. Questo si chiama equilibrio dei mercati.
Ovvio poi che, andando ad approfondire, il vero problema è il gap sociale, le possibilità di accesso alla crescita, e tutti quegli elementi che rendono piuttosto “forzato” e inevitabile il fatto che alcuni di noi facciano un certo tipo di lavori.
La scelta dovrebbe essere alla base di ogni equilibrio e senz’altro nel concreto la nostra economia globale si basa su criteri profondamente sbagliati e ingiusti, dove l’equilibrio è dettato dalla disparità di ricchezze.
Ma il concetto, quello si, ha perfettamente senso.
Dunque l’ambizione si riduce ad essere un tratto distintivo di coloro che fanno carriera?
Si e no. Diciamo che l’ambizione è il tratto distintivo di tutti coloro che vogliono “bene” al proprio percorso professionale e all’azienda all’interno della quale svolgono quel percorso.
Poi, tale ambizione va coltivata e incanalata a beneficio della collettività, contribuendo a raggiungere risultati che aiutino fattivamente a migliorare le condizioni lavorative di tutti, in ogni livello.
Perché altrimenti non parliamo di ambizione bensì di agonismo professionale. E l’agonismo professionale è l’anticamera del lato più sbagliato dell’ìmprenditoria.